Quali motivazioni spingono un giovane a dare uno spazio importante nella sua vita all’Economia di Comunione ed a viverla con passione? Intervista a Francisco Buchara
di Carolina Carbonell
Parliamo con Francisco Buchara, Fran per gli amici, maggiore di sei fratelli, nato 26 anni fa a San Nicolás (Argentina). Nel 2012 partecipa alla 1a Summer School Internazionale a Lisbona. Laureato in amministrazione aziendale dirige il settore "Sviluppo produttivo" del comune di San Nicolás. Recentemente il suo progetto imprenditoriale “Attaccapanni Sostenibile", sviluppato insieme ad altri due giovani argentini ha vinto il premio per il miglior Business Plan in un concorso organizzato da diverse istituzioni argentine. Qualche mese fa ha discusso davanti ad una giuria molto esigente una tesi di laurea che aveva come titolo “Come trasmettere i principi dell’Economia di Comunione nella azienda? Lavorando con l’organigramma e le relazioni interne”, ottenendo il massimo dei voti.
Francisco da pochi giorni è sposato con Rosario, che durante la cerimonia lo ha definito così: “A Fran piace stare in famiglia, con gli amici, ama gli sport (tutti), la frutta, le organizzazioni e sopratutto le onde. Gli piace molto nuotare, io dico sempre che il suo habitat naturale è l’acqua. Il suo sogno più grande: ‘cambiare il mondo’”.
Francisco, come hai conosciuto l’Economia di Comunione e in particolare da cosa ti sei sentito attratto?
Un giorno, nel pieno della crisi finanziaria del 2008, sono uscito molto confuso da una lezione di Microeconomia. Cercavo di capire una teoria neoclassica che non mi sembrava consistente con la realtà. In quel preciso momento ho visto un ragazzo della mia stessa età che stava cercando tra i rifiuti proprio davanti all’Università. “Perché lui sta cercando qualcosa da mangiare nei rifiuti mentre io sto uscendo dall’università?” mi sono chiesto in un modo un po ingenuo. E’ stata questa domanda a portarmi poi a conoscere il progetto Economia di Comunione. Tra tante persone impegnate, ho conosciuto John Mundell, presidente di una riconosciuta azienda EdC nordeamericana: ho avuto la possibilità di fare un’internship come studente nella sua azienda e questa è stata un’opportunità incredibile per conoscere l’EdC non soltanto dalla teoria ma anche nella pratica.
Raccontaci un po’ come è stata l’esperienza…
Ero arrivato da due settimane alla Mundell & Associates, quando John Mundell, il capo, mi chiama e mi dice: “Fran, hai gia pensato quale progetto porterai avanti quest’estate?” Poi precisa ancora di più la domanda: “Come pensi di aggiungere valore alla azienda?”. Il mio volto perplesso ha detto tutto e John ha capito subito che non avevo niente di concreto in mente. Ha aggiunto salutandomi: “No problem, Fran, ma voglio che questa settimana tu mi mostri alcune idee”. Tornando al posto dove mi alloggiavo, le parole del presidente di Mundell & Associates risuonavano sempre con più forza e cominciavo a preoccuparmi. Ho cercato di trovare un po di calma: “E’ da una settimana che sono qua, non mi sono ancora abituato a fare la cena alle sette di sera e John già mi chiede di aggiungere valore alla sua azienda…”
Così è nata l’idea per la tua tesi: Come trasmettere i principi dell’Economia di Comunione nella azienda?
La mattina dopo mi sono recato in ufficio, più presto del solito, ho preso carta e penna e ho cominciato a mettere nero su bianco tutte le idee che mi passavano per la testa. Cercavo di ricordare tutte le cose che avevo visto in Mundell & Associates e di metterle in relazione con le mie capacità personali e con i concetti imparati all’università. Dopo alcuni brainstorming e lunghe conversazioni con il presidente ed i colleghi di lavoro, è nato il progetto “How to pass the EoC ball?”; una domanda semplice che cercava di dare risposta a una delle più grandi sfide che hanno le aziende guidate da motivazioni ideali come quelle dell’EdC. Cioè: la trasmissione e la diffusione di questi ideali da parte del leader/fondatore agli altri membri. Proprio il fatto di essere qualcosa di “ideale” non consente di inserirlo in un contratto ma resta una scelta libera e gratuita. Quindi ho focalizzato questa domanda all’interno della struttura di Mundell & Associates, per mostrare come può esprimersi nell’ organigramma aziendale, proponendo infine alcune idee che facilitino questa trasmissione.
Dopo questa esperienza hai avuto l’occasione di approfondire l’EdC in Italia, studiando a Sophia. Cosa hai scoperto lì?
Studiando il filosofo francese Paul Ricoeur ho scoperto che la domanda che mi ero fatto quel giorno all’uscita dall’università “Perché lui sta cercando qualcosa da mangiare nei rifiuti mentre io sto uscendo dall’università?” non era stata originata da me ma da quel giovane indigente. Ricoeur –ci spiegava il professore- mostra che una persona inizia a vivere eticamente quando risponde alla richiesta di aiuto di una persona fragile; e faceva l’esempio di un neonato che piange perché ha fame. Quando “quella risposta” diventa una chiamata personale, ecco che ciascuno, nella misura in cui risponde, trova la propria identità. Grazie a quel ragazzo sono riuscito a scoprire che la voglia di cambiare il mondo che mi abita non mi porta tanto verso le grandi aziende ma verso un lavoro per le persone abbandonate dalla società moderna, attraverso l’innovazione sociale. Il mio lavoro quindi non è altro che un tentativo di risposta a quella domanda che penso mi accompagnerà a lungo e della quale dovró rendere conto alla fine dei miei giorni.
Discutere una tesi come la tua deve essere una sfida. Puoi raccontarci come ha reagito la commissione di laurea?
E’ stato difficile sopratutto all’inizio: scegliere il relatore, strutturare il caso… Poi non si riusciva a trovare dei relatori adatti al tema (non sono tanti i professori in grado di captare la frequenza sulla quale transita l’EdC). Per fortuna sono stati scelti una sociologa ed un economista con i quali ho pouto costruire un rapporto a partire della ricerca di una alternativa al paradigma attuale. In conclusione, è stata una sfida anche se poi non è stato tanto difficile discuterla perché ho avuto un pubblico di 30 persone che faceva una “pressione indiretta” (ride). In seguito alcuni studenti hanno deciso di continuare la ricerca e con l’università stiamo organizzando incontri con giovani e imprenditori ispirati a questa logica.
Ci dici qualcosa anche sul progetto “Attaccapanni Sostenibile” che vi ha fatto vincere un premio per il migliore Business Plan?
Il progetto consiste nella produzione e commercializzazione di attaccapanni fatti in cartone 100% riciclato. I prodotti vanno destinati sopratutto ad un mercato “B2B”, cioè a negozi di abbigliamento innovatori e con voglia di distinguersi. E’ nostra intenzione cambiare il concetto tradizionale di attaccapanni e farlo diventare una nuova piattaforma di marketing per i diversi marchi, che possono personalizzare gli attaccapanni con i loro loghi e colori. Poi c’è la sostenibilità come valore centrale e ora abbiamo intenzione di cominciare a lavorare con le cooperative del cartone.
Il premio in cosa consisteva?
Oltre ad una somma in denaro, c’era anche l’appartenenza per un anno alla JCI (Junior Chamber International) e un soggiorno di tre mesi in Njambre (njambre.org), un accelleratore di imprese sociali che funziona anche come uno spazio di co-working, dove l’EdC è percepita molto bene. Ma la cosa più significativa è stata la conferma della validità del nostro progetto e la diffusione che ne abbiamo avuto nei principali giornali e riviste del territorio.
Auguri, Fran. Finchè ci saranno giovani così, c’è un futuro. Anche per l’EdC.