Passi avanti nel cammino dell'Associazione Italiana Imprenditori per Un'Economia di Comunione
di Carlo Cefaloni
pubblicato su Città Nuova n. 10/2013 del 25/05/2013
Il cantiere di LoppianoLab del settembre 2012 li ha visti uscire a vita pubblica nell’aula magna del polo imprenditoriale Lionello Bonfanti, a Burchio.
In un attimo di pausa, Domenico Salmaso, fotografo di Città Nuova, ne ha ritratti alcuni con i volti sorridenti come di «cavalieri intenti a compiere l’impresa» e questa immagine circola in varie presentazioni su diverse pubblicazioni incuriosite da questo gruppo di persone che hanno deciso di fondare l’Associazione italiana imprenditori per un’Economia di Comunione (Aipec).
Cosa spinge oggi in Italia delle persone ad esporsi in un progetto del genere? Nel mezzo di una crisi economica dalle dimensioni sconosciute, mentre nel Paese aumenta il numero giornaliero delle aziende che falliscono trascinando con sé speranze e persone, non converrebbe mettersi in disparte in attesa che passi la tempesta?
Eppure in pochi mesi, dall’assemblea del novembre scorso, aperta alla partecipazione più ampia, l’associazione conta già 130 iscritti. Il nome di «economia di comunione» suona bene nel tempo in cui, come ci ha detto l’economista Stefano Zamagni, anche le business school di Harvard parlano di «capitalismo condiviso»: una contraddizione insanabile, osserva l’autorevole professore di Bologna, ma che segna la crisi verticale del modello individualista dominante nella società. I profitti mordi e fuggi dei fondi speculativi, le retribuzioni oscene dei manager, la devastazione ambientale di un certo tipo di impresa, insofferente di ogni limite, conduce ad un cedimento strutturale che distrugge ogni tipo di ricchezza. A prescindere dalle convenienze e dalla prudenza, scatta il momento decisivo nella coscienza di ognuno, quello che ti fa dire «non accetto» questo stato di cose e mi impegno a cambiarlo.
Nell’affermare questo punto fermo, comune tra i soci dell’Aipec, Livio Bertola, eletto presidente dell’associazione, non ha la pretesa di esprimere una sorta di esclusiva o di primazia nell’essere migliori degli altri, ma di far emergere quella sana inquietudine comune ad ogni essere umano.
Ascoltando le storie e i percorsi delle diverse aziende aderenti ad Aipec si sente quella stessa domanda, «drammaticamente rinnovata nei momenti di incertezza e di dubbio», che ha mosso la straordinaria e profetica esperienza di Adriano Olivetti, negli anni Cinquanta, che si chiedeva: «Si trovano questi fini (dell’industria) semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita della fabbrica?». Non si tratta di buonismo o di ricercare nicchie consolatorie e confessionali, tanto è vero che ogni volta che l’associazione si è presentata nei più diversi contesti, come la fiera “Fa’ la cosa giusta” di Milano, ha suscitato grande interesse e desiderio di continuare in ambiti molto diversi da quello originari da cui è nato, e cioè dal Movimento dei Focolari. Come per tante altre realtà sociali, culturali e politiche nate da questa radice, il Movimento si rivela come il paradigma di una fraternità sperimentabile in concreto a livello planetario tra persone di diversa provenienza, cultura e religione. Non solo l’intuizione o il desiderio ma il tentativo di inverare la logica del dono e della gratuità dentro la vita e l’agire economico.
Chi cerca di viverlo seriamente si apre al riconoscimento e alla valorizzazione di tutto ciò che si muove in tal senso. Mettere insieme persone e storie che affermano la “cultura del dare” mentre sono intenti a cercare clienti, a pagare l’Irap o a trattare il fido con le banche, vuol dire far emergere quella verità lungamente taciuta, come afferma Luigino Bruni, e cioè che «la natura più profonda e fondativa del mercato è la cooperazione, ben prima e più radicalmente della competizione».
Tra i soci di Aipec si sente anche parlare di un rapporto nuovo da ricercare con i concorrenti,che non possono essere dei nemici ma qualcuno con cui cercare il rapporto per uscire insieme dalla crisi. Nell’Italia dove imprenditori e lavoratori sperimentano quella profonda solitudine che spinge anche al suicidio, si comprende bene quella verità che un osservatore laico come Gad Lerner ha saputo cogliere commentando il pensiero di Bruni e cioè che l’alternativa è «tra fraternità e fratricidio».
Ma, appunto, il contributo degli economisti di comunione non può che nascere dalla vita di chi ogni giorno alza la saracinesca per creare valore da condividere. Dai tavoli permanenti di Aipec aperti nel ragusano, in Sicilia, alle tante iniziative che si stanno strutturando nelle regioni italiane si avverte l’urgenza di offrire una risposta adeguata alla sfi da del nostro tempo. Non è una questione di soli imprenditori, l’associazione prevede l’adesione anche di “soci sostenitori”, secondo una logica di massima partecipazione e inclusione che la segna dall’inizio. Tutti si possono sentire parte dell’impresa. Statuto, codice etico, aggiornamenti e molto altro su www.aipec.it.